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  • 2 weeks ago | cinematografo.it | Emanuele Rauco

    Per la cultura dell’America Latina, il peso di L’eternauta è gigantesco: fumetto nato nel 1957 dalle matite di Héctor Oesterheld e Francisco Solano López, ma assurto al rango di capolavoro nel ’69 quando Oesterheld lo riscrisse, coi disegni di Alberto Breccia, rendendone evidente la natura di metafora politica dei regimi autoritari o militari, che nel ’76 uccisero lo stesso scrittore.

  • 3 weeks ago | ilsussidiario.net | Emanuele Rauco

    A volte gli occhi ci ingannano e chiudono le porte agli altri sensi, alla percezione profonda, al cervello e al cuore. Accade questo con i film di Wes Anderson da un po’ di tempo a questa parte, per la precisione dopo il successo di The Grand Budapest Hotel: critica e spettatori si concentrano sulla forma e lo stile, dimenticando il resto. Comprensibile, visto che Anderson dello stile ha fatto un marchio, ma così si fa un torto ai suoi film.

  • 1 month ago | ilsussidiario.net | Emanuele Rauco

    Nell’epoca degli universi condivisi, delle narrazioni che si espandono, di seguiti e predecessori che si intrecciano continuamente, fa quasi piacere, un piacere un po’ nostalgico, vedere un film che invece entra dentro una serie senza troppo fare caso a ciò che è accaduto prima o dopo, come fosse una continua ripartenza, una costante variazione sul tema.

  • 1 month ago | screenworld.it | Emanuele Rauco

    Nel suo videoclip più famoso, Er Piotta faceva pronunciare a Valerio Mastandrea una frase rimasta negli annali della coatteria romanesca: “I tre capisaldi: la femmina, il denaro… e la mortazza” (che immagino sia noto a tutti essere il nome capitolino della mortadella). Per gli amanti del Cinema Circus, per coloro che credono nel potere acrobatico dei corpi e delle macchine da presa, i tre capisaldi sono Buster Keaton, Jackie Chan (ne parleremo a breve) e Tom Cruise.

  • 1 month ago | ilsussidiario.net | Emanuele Rauco

    Per quanto i suoi film possono sembrare simili a parecchie opere che trattano temi e soprattutto ambienti analoghi, nessuno li fa come Andrea Arnold, regista britannica che nell’arco di un ventennio ha saputo ritagliarsi un posto importante dentro il cinema arthouse e indipendente europeo e mondiale, raccontando storie di ragazzi emarginati in contesti sottoproletari con un tocco narrativo, visivo ed emotivo unici.